Le reazioni più clamorose all’aumento degli investimenti spagnoli in Telco, il maggiore azionista di Telecom in Italia, sono state negative. I sindacati sono preoccupati per la possibile perdita di posti di lavoro; ai politici, soprattutto a quelli di destra, non piace l’idea di “stranieri” che controllano le telecomunicazioni italiane; i comuni curiosi si chiedono come la Spagna, presumibilmente in condizioni economiche peggiori dell’Italia, abbia potuto mettere le mani sulle linee telefoniche italiane.
Non molti hanno espresso il punto di vista opposto; che l’Italia è fortunata ad aver trovato qualcuno così vicino a casa (un partner dell’Unione Europea nientemeno) da investire nelle Telco fortemente indebitate.
Del resto gli investitori italiani non erano disposti a farlo. L’offerta di Telefonica è arrivata solo dopo che la Cassa Depositi e Prestiti, di proprietà statale italiana, aveva dato la spalla fredda a Telco, rifiutandosi di iniettare nuovo capitale, e i suoi principali azionisti italiani, Generale, Intesa Sanpaolo e Mediobanca, non pensavano che valesse la pena di metterne di più nemmeno i soldi. Si potrebbe dire che Telefonica è intervenuta appena in tempo, probabilmente perché il prezzo era giusto, ma anche perché le filiali di Telecom in Brasile e Argentina sono attraenti. Con questi nel suo portafoglio Telefonica diventa il principale operatore nel mercato sudamericano.
Telco è solo la più recente di una serie di aziende italiane finite in mani straniere. Banche, case di moda, beni di lusso, gioiellerie, catene alimentari, compagnie aeree hanno attratto investimenti stranieri negli ultimi anni. Non è bello vedere all’asta i gioielli di famiglia ma l’alternativa potrebbe essere peggiore. E se nessuno volesse fare offerte per loro?
Un test chiave è in arrivo. Nelle prossime settimane Air France-Klm deciderà se aumentare o meno la propria partecipazione in Alitalia.
Quando nel 2009 la partnership franco-olandese prese il suo 25% nella compagnia aerea italiana in difficoltà, sia le sue rotte nazionali che quelle estere (in particolare il Sud America) sembravano allettanti.
Da allora il quadro è cambiato. Lufthansa si sta facendo strada nel mercato interno e secondo il Wall Street Journal Ryanair ed Easyjet ora hanno più voli in partenza dagli aeroporti italiani di Alitalia. A terra i treni ad alta velocità stanno anche scremando i passeggeri sulla rotta aerea Roma-Milano, un tempo vitale.
Alitalia ha accumulato perdite nel primo trimestre, è a corto di liquidità e ha bisogno di investimenti di capitale. Inoltre, gli azionisti societari italiani, le cui partecipazioni sono state congelate dalla vendita ad Air France-Klm nel 2009, saranno liberi di vendere le proprie azioni a partire da ottobre. Potrebbero fare un fulmine per l’uscita e Air France, che ha i suoi problemi in casa, potrebbe decidere che Alitalia non è più attraente come una volta. Cosa poi?
Il primo ministro italiano, Enrico Letta, ha viaggiato all’estero questa settimana cercando di convincere il pubblico nordamericano che l’Italia è un posto attraente in cui investire. Ma a casa non sembra essere molto gradito.
Permangono ancora incertezze di bilancio. Le opzioni di guadagno si stanno esaurendo e nuovi tagli alla spesa sono difficili da trovare. L’indecisione sulla tassazione (la prossima settimana l’Iva sulle vendite salirà al 22% e quali saranno le tasse sulla proprietà alla fine dell’anno?) comincia a essere dannosa per l’economia tanto quanto l’evasione fiscale stessa. A questo si aggiunge l’incertezza politica (quanto ancora può resistere la grande coalizione del Partito Democratico e del Popolo della Libertà?) il vero miracolo italiano è che qualcuno voglia investire nel Paese.
Maria Wilsey
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